sabato 10 settembre 2011

Genocidio in Canada







Il rapporto è pubblicato da The Truth Commission into Genocide in
Canada, un ente investigativo pubblico che prosegue l’opera dei
precedenti tribunali riguardo alle scuole residenziali per i nativi,
ovvero: The Justice in the Valley Coalition’s Inquiry into Crimes
Against Aboriginal People, riunitasi il 9 dicembre 1994 a Port
Alberni, british Columbia, e The International Human Rigths
Association of American Minorities Tribunal into Canadian Residential
Schools, tenutasi a Vancouver, BC, dal 12 al 14 giungo 1998.

PREFAZIONE

Jasper Jospeh è un nativo sessantaquattrenne di Port Hardy, British
Columbia. Gli occhi gli si riempirono ancora di lacrime quando ricorda
i suoi cugini, uccisi nel 1944 con iniezioni letali dal personale del
Nanaimo Indian Hospital.
Avevo soltanto otto anni, e ci avevano mandato dalla scuola
residenziale anglicana di Alert Bay al Nanaimo Indian Hospital, quello
gestito dalla Chiesa Unitaria. Li mi hanno tenuto in isolamento in una
piccola stanza poirer più di tre anni, come se fossi un topo da
laboratorio, somministrandomi pillole e facendomi iniezioni che mi
facevano star male. Due miei cugini fecero un gran chiasso, urlando e
ribellandosi ogni volta. Così le infermiere fecero loro delle
iniezioni, ed entrambi morirono subito. Lo fecero per farli stare
zitti. (10 novembre 2000)
A differenza del popolo tedesco dopo la seconda guerra mondiale, noi
canadesi dobbiamo ancora venire a conoscenza, per non parlare di fare
ammenda, del genocidio che abbiamo perpetrato nei confronti di milioni
di individui conquistati: uomini, donne e bambini indigeni
deliberatamente sterminati dal nostro stato e dalla nostra chiesa,
convinti della loro supremazia razziale.
Già dal novembre del 1907 la stampa canadese attestava che il tasso
dei decessi all’interno delle scuole residenziali indiane superava il
50%(vedere Appendice, articoli giornalistici chiave).Tuttavia negli
ultimi decenni la realtà di un tale massacro è stata rimossa dalla
storia e dalla coscienza pubblica del Canada. Non c’è da stupirsene,
perchè quella storia occultata rivela un sistema il cui scopo era
quello di distruggere la maggior parte della popolazione nativa
tramite malattie, trasferimenti e omicidi belli e buoni, “assimilando”
nel contempo una minoranza di collaborazionisti che venivano
addestrati a servire quel sistema genocidi.
Questa storia di genocidio deliberato coinvolge ogni livello
governativo del Canada, la Royal Canadian Mounted Police (RCMP), ogni
chiesa principale, grandi corporazioni e polizia, medici e giudici
locali. La rete di complicità di questa macchina assassina era, e
rimane così estesa che il suo occultamento ha richiesto un altrettanto
elaborata compagna di copertura, organizzata nelle più alte sfere di
potere del nostro paese; una copertura che continua tuttora, in
particolare adesso che i testimoni oculari degli omicidi e delle
atrocità, perpetrati presso le “scuole” residenziali per nativi
gestite dalla chiesa, si sono fatti avanti per la prima volta.
Perché erano le “scuole” residenziali a costituire i campi di
sterminio dell’olocausto canadese e all’interno delle cui mura,
secondo statistiche governative, circa la metà dei bambini lì spediti
per legge morirono o scomparvero.
Secondo un sopravvissuto queste 50.000 vittime svanirono, così come i
loro cadaveri – “come se non fossero mai esistiti”. Ma esistevano
eccome. Erano bambini innocenti, uccisi da percosse e torture e dopo
essere stati deliberatamente esposti a tubercolosi e ad altre malattie
da dipendenti salariati delle chiese e del governo, in base ad un
progetto generale di “Soluzione Finale” concepito dal Dipartimento
Affari Indiani e dalle chiese cattolica e protestante.
Con tale approvazione ufficiale del massacro, emanata da Ottawa, le
chiese responsabili dell’annientamento dei nativi in loco si sentirono
incoraggiate e protette a sufficienza da dichiarare per tutto il 20mo
secolo una guerra totale alle popolazioni indigene non cristiane.
Le vittime di tale guerra non furono soltanto i 50.000 bambini morti
delle scuole residenziali, ma anche i sopravvissuti, la cui attuale
condizione sociale è stata descritta dai gruppi per i diritti umani
delle Nazioni Unite come quella di “una popolazione colonizzata al
limite della sopravvivenza, con tutte le caratteristiche di una
società dal terzo mondo”. (12 novembre 1999)
L’olocausto continua. Il presente rapporto è frutto di un’indagine
indipendente, durata sei anni, sulla storia nascosta del genocidio
perpetrato ai danni delle popolazioni indigene del Canada; riassume le
testimonianze, i documenti ed altri riscontri a riprova che il
governo, le chiese e le corporazioni canadesi sono colpevoli di
genocidio intenzionale, che il Canada ratificò nel 1952 e alla quale è
vincolata dal diritto internazionale.
Tale rapporto deriva dall’impegno e dalla collaborazione di circa 30
individui e tuttavia alcuni dei suoi autori devono restare
nell’anonimato, in particolare i collaboratori indigeni i quali, a
causa del loro coinvolgimento in questa indagine, sono stati
minacciati di morte, attaccati, privati del lavoro e sradicati dalle
loro abitazioni nelle riserve indiane.
A causa dei miei tentativi di svelare la vicenda delle morti dei
bambini presso la scuola residenziale della chiesa di Alberni io, in
qualità di ministro di una delle istituzioni citate nell’indagine, la
Chiesa Unitaria del Canada – sono stato licenziato, inserito nella
lista nera, minacciato e diffamato pubblicamente dai suoi funzionari.
Molti hanno fatto dei sacrifici per stilare questo rapporto, in modo
che il mondo possa venire a conoscenza dell’olocausto canadese e per
assicurarsi che i responsabili vengano giudicati dal Tribunale per i
Crimini Internazionali. La presente indagine su crimini contro
l’umanità, iniziata nell’autunno del 1994 fra i nativi e gli attivisti
a basso reddito a Port Alberni, nella British Columbia, è continuata
nonostante le minacce di morte, gli attacchi e le risorse della chiesa
e dello stato canadesi.
Il lettore ha facoltà di onorare il nostro sacrificio raccontando al
altri questa storia e rifiutandosi di collaborare con istituzioni che
hanno deliberatamente ucciso migliaia di bambini.
Questa storia di appoggio ufficiale e di collusioni, relativa ad un
secolo o più di crimini contro i primi abitanti del Canada, non deve
dissuaderci dallo scoprire la verità e dal portare davanti alla
giustizia coloro che hanno commesso tali crimini. E’ per questo motivo
che vi invitiamo a ricordare non solo i 50.000 bambini deceduti nei
campi di sterminio delle scuole residenziali, ma anche tutte quelle
vittime silenziose che oggi patiscono in mezzo a noi in cerca di pane
e giustizia.
(Rev.) Kevin D. Annett, segretario The Truth Commission into Genocide
in Canada, Vancouver, British Columbia, 1 febbraio 2001



II
Riassunto delle prove di Genocidio intenzionale nelle scuole
residenziali canadesi

Articolo II: L’intenzione di distruggere, integralmente o
parzialmente, un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso; vale a
dire le popolazioni indigene non-cristiane del Canada.

Lo scopo fondante a monte delle oltre cento scuole residenziali
indiane, edificate in Canada in base a leggi governative ed
amministrate dalle chiese cattolica e protestante, era il deliberato e
costante sradicamento delle popolazioni indigene e della loro cultura,
nonché la conversione forzata al cristianesimo di tutti i nativi
sopravvissuti. L’intento fu enunciato nel Gradual Civilization Act del
1857 nel Canada superiore e, precedentemente, la legislazione ispirata
dalla chiesa che definiva la cultura indigena inferiore, privò la
popolazione nativa della cittadinanza e la subordinò in una categoria
legale separata dai non-indiani. Questa legge servì come base per il
Federal Indian Act del 1874, che ribadì l’inferiorità legale e morale
degli indigeni ed istituì il sistema delle scuole residenziali. La
definizione legale di un indiano in quanto “individuo selvaggio, privo
della conoscenza di Dio e di qualsiasi stabile e chiaro credo
religioso” (Revised Statutes della British Columbia, 1960) fu coniata
da queste leggi e persiste fino ai giorni nostri.


Allora come adesso, gli indigeni erano considerati legalmente e
concretamente come non-entità nella loro terra e, di conseguenza,
intrinsecamente sacrificabili.


Queste intenzioni genocide furono riaffermate di frequente nella
legislazione governativa, nelle dichiarazioni della chiesa nonché
nella corrispondenza e nei documenti dei missionari, agenti indiani e
funzionari delle scuole residenziali (vedere la sezione documenti).
Naturalmente si trattava esattamente della ragione d’essere
dell’invasione cristiana nei territori tradizionali dei nativi,
sanzionata dallo stato e dal sistema delle scuole residenziali, che
venne istituito all’apice dell’espansionismo europeo negli anni ’80
dell’ottocento e proseguito fino al 1984.
Lo scopo era per definizione il genocidio, in quanto pianificò e portò
avanti la distruzione di un gruppo etnico e religioso: tutti quegli
indigeni che non si fossero convertiti al cristianesimo ed estinti
culturalmente. I nativi non cristiani erano il bersaglio dichiarato
delle scuole residenziali che, sotto la maschera dell’istruzione,
praticavano una pulizia etnica di massa.
Inoltre questi “pagani” erano oggetto dei programmi di sterilizzazione
finanziati dal governo, eseguiti in ospedali gestiti dalla chiesa e
sanatori per la tubercolosi della costa occidentale (vedere articolo
IId).

Secondo un testimone oculare, Ethel Wilson di Bella Bella, BC, un
certo George Darby, medico missionario della Chiesa Unitaria, fra il
1928 ed il 1962 sterilizzò intenzionalmente indiani non-cristiani
presso l’R.W. Large Memorial Hospital. Nel 1998 la signora Wilson, ora
deceduta, dichiarò:
“Nel 1952 il dottor Darby mi riferì che l’Ufficio Affari Indiani di
Ottawa lo pagava per ogni indiano/a che sterilizzava, in particolare
se costoro non frequentavano le chiese. Centinaia delle nostre donne
furono sterilizzate dal dottor Darby solatanto perché non andavano in
chiesa.” (Testimonianza di Ethel Wilson di fronte al Tribunale
dell’Associazione Internazionale per i Diritti Umani delle Minoranze
Americane [IHRAAM], Vancouver, BC, 13 giugno 1998).
Secondo Christy White, cittadina di Bella Bella, la documentazione
relativa a queste sterilizzazioni, finanziate dal governo ed eseguite
presso l’R.W. Large Memorial Hospital, venne intenzionalmente
distrutta nel 1995, subito dopo il pubblicizzato avvio di un indagine
della polizia relativa alle atrocità commesse nelle scuole
residenziali della British Columbia. Nel 1998 la signora White
affermò:
“Ho lavorato presso l’ospedale di Bella Bella e so che Barb Brown, uno
degli amministratori, in due occasioni gettò in mare i documenti
realtivi alle sterilizzazioni, alcuni dei quali furono ritrovati sulla
spiaggia a sud della città. Questo avvenne nella primavera del 1995,
subito dopo che i poliziotti avevano avviato la loro indagine sulle
scuole. Stavano coprendo le tracce. Tutti sapevamo che Ottawa
finanziava le sterilizzazioni, ma ci fu detto di tacere sulla
questione.” (Testimonianza di Christy White resa a Kevin Annett, 12
agosto 1998).


Nella British Columbia la legge che consentiva la sterilizzazione di
qualsiasi ospite delle scuole residenziali fu approvata nel 1933
mentre in Alberta nel 1928 (vedere “Sterilization Victims Urged to
Come Forward” di Sabrina Whyatt, Windspeaker, agosto 1998). Il Sexual
Sterilization Act della British Columbia autorizzava il preside di una
scuola a consentire la sterilizzazione di qualsiasi nativo si trovasse
sotto la sua responsabilità ed egli, in quanto tutore legale, poteva
far sterilizzare qualsiasi bambino nativo. Tali sterilizzazioni
venivano di frequente attuate nei confronti di interi gruppi di
bambini indigeni quando questi avevano raggiunto la pubertà, in
istituti quali la Provincial Training School di Red Deer, in Alberta,
ed il Ponoka Mental Hospital (dal colloquio della ex infermiera Pat
Taylor con Kevin Annett, 13 gennaio 2000).

Di analoga rilevanza storica è il fatto che il governo federale
canadese approvò la legislazione nel 1920, rendendo obbligatorio che
tutti i bambini indigeni della British Columbia – la cui costa
occidentale era l’area meno cristianizzata del Canada – frequentassero
le scuole residenziali, nonostante il fatto che lo stesso governo
avesse già riconosciuto che il tasso di mortalità dovuto a malattie
trasmissibili fosse più elevato proprio in queste scuole e che,
durante la permanenza in quei luoghi, i bambini indigeni presentavano
una “costituzione così indebolita da non avere alcuna vitalità atta a
contrastare le malattie” (Comunicazione di A. W. Neill, agente indiano
della costa occidentale, al ministro per gli affari indiani, 25 aprile
1910).

Vale a dire che il governo canadese rese obbligatoria alle popolazioni
indigene maggiormente “pagane” e meno integrate la frequenza delle
scuole residenziali proprio nel periodo in cui, secondo funzionari
degli Affari Indiani come il Dr. Peter Bryce, il tasso di mortalità in
quelle stesse scuole aveva raggiunto il proprio apice – attorno al
40%. Questo aspetto di per sé stesso indica le intenzioni genocidi nei
confronti degli indigeni non-cristiani.


Articolo II (a): Uccisione di membri del gruppo da eliminare
 Testimoni oculari, documenti governativi, dichiarazioni di agenti
indiani e di anziani delle tribù confermano il fatto che nelle scuole
residenziali gli indigeni venivano uccisi intenzionalmente, aspetto
d’altronde fortemente indicato dalla semplice questione che il tasso
di mortalità nelle scuole residenziali raggiunse il 40%, con il
decesso in Canada di oltre 50.000 bambini indigeni (vedere
bibliografia, compreso il rapporto del Dr. Peter Bryce dell’aprile del
1909, destinato a Duncan Campbell Scott, sovrintendente agli Affari
Indiani).


Inoltre il fatto che tale tasso di mortalità rimase costante nel corso
degli anni, nonché all’interno delle scuole e degli istituti quali che
fossero le chiese confessionali che li gestivano – cattolica romana,
unitaria, presbiteriana o anglicana – indica che a monte di questi
decessi vi erano politiche e condizioni comuni, questo perché ogni
secondo bambino morto nel sistema delle scuole residenziali elimina la
possibilità che tali decessi fossero puramente accidentali oppure
frutto di iniziative di pochi individui depravati che agivano da soli
e senza protezione.


Tuttavia tale sistema non solo era intrinsecamente omicida, ma operava
nell’ambito di condizioni legali e strutturali che incoraggiavano,
favorivano e istigavano l’omicidio che erano organizzare per occultare
questi crimini.


Le scuole residenziali erano strutturate come campi di concentramento,
secondo uno schema gerarchico di tipo militare sotto il controllo
totale di un preside nominato congiuntamente dallo stato e dalla
chiesa e che, generalmente, era un ecclesiastico. Nei primi anni ’30
del ’900 il governo federale conferì al preside persino diritti di
tutela legale su tutti gli studenti, almeno nelle scuole residenziali
della costa occidentale. Tenendo presente che le popolazioni indigene
erano per legge sotto la tutela legale dello stato e che così era
stato sin dall’entrata in vigore dell’Indian Act, tale iniziativa del
governo fu assai insolita; tuttavia tale potere assoluto del direttore
della scuola sulla vita degli studenti indigeni fu uno dei requisiti
di qualsiasi sistema i cui assassini di indigeni dovevano essere
mascherati ed in seguito negati.


Le scuole residenziali erano costruite con questo inganno, in modo
tale che i decessi e le atrocità tipiche del genocidio potessero
essere occultate ed infine spiegate. Nel contesto del Canada, questo
significava una politica di graduale ma deliberato sterminio sotto un
paravento protettivo legale, fornito da istituzioni “legittime e
fidate”: le chiese principali.


Andrebbe chiarito fin dall’inizio che le decisioni relative alle
scuole residenziali, comprese quelle che provocavano la morte dei
bambini ed i relativi occultamenti, erano ufficialmente autorizzate ad
ogni livello dalle chiese che le gestivano e dal governo che le
istituiva; solo un’autorizzazione di questo tipo avrebbe permesso che
i decessi continuassero così come è avvenuto – e che coloro che
commisero tali crimini si sentissero sufficientemente protetti da
agire impunemente per molti anni all’interno del sistema, così come
fecero dappertutto.



Esposizione alle malattie
Nel 1909 il Dr. Peter Bryce, del Ministero della Sanità dell’Ontario,
fu assunto dal Dipartimento Affari Indiani di Ottawa per visitare le
scuole residenziali indiane del Canada occidentale e della British
Columbia e fare rapporto sulle loro condizioni sanitarie. Il rapporto
di Bryce scandalizzò a tal punto governo e chiesa che venne
ufficialmente insabbiato, per tornare alla luce solo nel 1922 quando
Bryce – che a causa della sincerità del suo rapporto fu estromesso
dall’amministrazione statale – scrisse un libro al proposito, dal
titolo The Story of a National Crime (Ottawa, 1922).


Nel rapporto in questione il Dr. Bryce affermava che nelle scuole
residenziali i bambini indiani venivano sistematicamente e
deliberatamente uccisi, citava un tasso medio di mortalità fra il 35%
e il 60% e asseriva che il personale ed i funzionari della chiesa
nascondevano, rifiutavano di consegnare o falsificavano regolarmente
la documentazione ed altre prove relative alla morte dei bambini.


Il Dr. Bryce inoltre dichiarò che uno dei metodi principali utilizzati
per uccidere bambini indigeni era quello di esporli intenzionalmente
al contagio di malattie trasmissibili come la tubercolosi per poi
negare loro qualsiasi assistenza o cura medica – una prassi
effettivamente riportata da alcuni fra i massimi rappresentanti
anglicani sul Globe and Mail del 29 maggio 1953.


Nel Marzo del 1998 William e Mabel Sport di Nanaimo, BC, due testimoni
indigeni che frequentarono le scuole residenziali della costa
occidentale, confermarono le affermazioni del Dr. Bryce: entrambi
sostengono di essere stati intenzionalmente esposti, negli anni ’40,
alla tubercolosi dal personale di due scuole residenziali, una
cattolica e l’altra della Chiesa Unitaria.

Mi costringevano a dormire nello stesso letto con bambini che stavano
morendo a causa della tubercolosi; ciò accadeva intorno al 1942 nella
scuola residenziale cattolica cristiana. Cercavano di ucciderci e
quasi ci riuscirono. Fecero altrettanto presso le scuole indiane
protestanti, tre bambini per letto, quelli sani con quelli morenti.
(Testimonianza di Mabel Sport resa ai funzionari della IHRAAM, Port
Alberni, BC, 31 marzo 1998).





Il reverendo Pitts, preside della scuola di Alberni, costrinse me ed
altri otto bambini a mangiare del cibo speciale da un tipo di
scatoletta diverso dal solito. Aveva un gusto davvero strano. In
seguito ci ammalammo tutti di tubercolosi. Io fui l’unico a
sopravvivere, perché mio padre una notte irruppe nella scuola e mi
portò via di lì. Tutti gli altri morirono di tubercolosi e non vennero
mai curati, bensì lasciati lì a morire, e a tutte le loro famiglie
venne detto che erano morti di polmonite. Il piano era quello di
ucciderci tutti in segreto. Dopo aver mangiato quel cibo, iniziammo
tutti a morire. Nel gruppo di coloro che furono avvelenati, vi erano
due dei miei migliori amici. Non ci fu mai permesso di parlarne né di
recarci nel seminterrato, dove venivano commessi altri omicidi; essere
mandati alla scuola di Alberni corrispondeva ad una condanna a morte.
(Testimonianza di William Sport resa ai funzionari della IHRAAM, Port
Alberni, BC, 31 marzo 1998)

Omicidi
 Secondo i testimoni oculari, nelle scuole residenziali erano prassi
comune omicidi anche più palesi. Tali testimoni hanno descritto
bambini che venivano picchiati e lasciati morire di fame, scaraventati
fuori dalle finestre, strangolati e buttati giù per le scale a
spintoni o a calci sino a morirne. Questi omicidi avvenivano in almeno
otto scuole residenziali, gestite dalle tre principali chiese
confessionali, nella sola British Columbia.


Il sottotenente Bill Steward di Nanaimo, BC, afferma: “Mia sorella
Maggie fu scaraventata da una suora dalla finestra al terzo piano
della scuola di Kuper Island, e morì. Tutto venne insabbiato, né venne
svolta alcuna indagine. All’epoca, essendo indiani, non potevamo
assumereuna avvocato e così non venne mai fatto
alcunché.” (Testimonianza di Bill Steward, Duncan, BC, 13 agosto
1998).

Diane Harris, assistente sanitaria del Consiglio della Tribù Chemainus
della Vancouver Island, conferma i resoconti degli omicidi. “Sentiamo
in continuazione racconti sui bambini che furono uccisi a Kuper
Island. Appena a sud della scuola vi era un cimitero, destinati ai
bambini nati dai rapporti fra i preti e le ragazze, sino a quando nel
1973, alla chiusura della scuola, non fu portato alla luce. Le suore
facevano abortire le ragazze madri ed a volte finivano con
l’ucciderle. Vi erano molte sparizioni. Mia madre che ora ha 83 anni,
vide un prete trascinare una ragazza giù per le scale tirandola per i
capelli e, di conseguenza, ella perì. Le ragazze venivano stuprate ed
uccise, e poi sepolte sotto i tavolati dei pavimenti. Chiedemmo ai
funzionari della RCMP locale di esumare quel luogo in cerca di resti
ma loro si sono sempre rifiutati di farlo, anche in anni recenti come
il 1996; il caporale Sampson ci ha persino minacciati. Questo genere
di insabbiamento è la regola. I bambini sani venivano messi in
infermeria assieme a quelli malati di tubercolosi, era la procedura
standard; nell’arco di sette anni abbiamo documentato 35 omicidi
palesi.” (Testimonianza di Diane Harris resa di fronte al tribunale
della IHRAAM, 13 giugno 1998).


Esistono riscontri a indicare che l’attiva collusione fra polizia,
funzionari dell’ospedale, medici legali, agenti indiani e perfino capi
indigeni ha contribuito ad occultare tali omicidi. Gli ospedali
locali, in particolare i sanatori per la tubercolosi collegati alla
chiesa unitaria e a quella cattolica romana, hanno svolto la funzione
di “discariche” per i cadaveri dei bambini ed hanno regolarmente
fornito certificati di morte falsi per gli studenti uccisi.

Nel caso della scuola residenziale della Chiesa Unitaria di Alberni,
gli studenti che scoprivano i cadaveri di altri bambini subivano gravi
punizioni. Uno di questi testimoni, Harry Wilson di Bella Bella, BC,
afferma di essere stato espulso dalla scuola, quindi ricoverato in
ospedale e drogato contro la sua volontà dopo aver scoperto il corpo
di una ragazza deceduta nel maggio del 1967.
Cosa triste, il sistema a doppio livello di collaborazionisti e
vittime creato nelle scuole fra gli studenti nativi continua a
tutt’oggi, poiché alcuni dei rappresentanti del consiglio della tribù
finanziati dallo stato – essi stessi ex collaborazionisti – sembrano
avere un particolare interesse nel contribuire a sopprimere le prove e
a mettere a tacere testimoni che incriminerebbero non solo gli
assassini ma anche loro stessi, in quanto agenti dell’amministrazione
bianca.






La maggior parte dei testimoni che hanno raccontato la loro storia
agli autori e di fronte ai tribunali pubblici della costa occidentale
hanno descritto o di aver visto casi di omicidio o di aver scoperto un
cadavere presso la scuola residenziale che frequentavano. Il numero
delle vittime, anche secondo le cifre fornite dal governo, fu
enormemente elevato; ma allora dove sono tutti i cadaveri? I decessi
di migliaia di studenti non sono riportati in nessuno dei registri
delle scuole, degli archivi degli Affari Indiani né su altra
documentazione finora presentata in tribunale o su pubblicazioni di
ricerca relative alle scuole residenziali. Circa 50.000 cadaveri sono
letteralmente ed ufficialmente andati perduti.
Il sistema delle scuole residenziali ha dovuto occultare non solo le
prove degli omicidi ma anche i cadaveri. La presenza di fosse comuni
segrete per i bambini uccisi presso le scuole cattoliche e protestanti
di Sardis, Port Alberni, Kuper Island ed Alert Bay è stata attestata
da numerosi testimoni, secondo i quali queste aree segrete di
sepoltura contenevano anche i feti abortiti e persino i bimbi molto
piccoli frutto dei rapporti fra preti e ragazze del personale delle
scuole. Una delle testimoni, Ethel Wilson di Bella Bella, afferma di
aver visto “file e file di piccoli scheletri” nelle fondamenta della
ex scuola residenziale anglicana di St Michael’s ad Alert Bay quando
al suo posto, negli anni ’60, venne edificata una nuova scuola.


Vi erano svariate file di scheletri, tutti allineati ordinatamente,
come se fosse un gran cimitero. Gli scheletri erano stati ritrovati
all’interno di una delle vecchie mura della scuola di St Mike. A
giudicare dalle dimensioni, nessuno di essi poteva essere molto
vecchio. Ora, per quale motivo così tanti bambini sono stati sepolti
in quel modo all’interno di un muro, a meno che qualcuno non stesse
cercando di nascondere qualcosa? (Testimonianza di Ethel Wilson resa a
Kevin Annett, Vancouver, BC, 8 agosto 1998).




Arnold Sylvester, il quale, come Tennis Charlie, fra il 1939 ed il
1945 frequentò la scuola di Kuper Island, conferma questo resoconto “I
preti scavarono in quel cimitero in tutta fretta nel 1972, quando la
scuola chiuse. Nessuno era autorizzato a guardarli riesumare quei
resti. Penso che ciò fosse dovuto al fatto che si trattava di un
cimitero particolarmente segreto, dove venivano sepolti i cadaveri
delle ragazze incinte. Alcune delle ragazze ingravidate dai preti
furono effettivamente uccise perché minacciavano di spifferare tutto;
a volte venivano spedite via e a volte scomparivano. Non ci era
consentito parlare di questo argomento.” (Testimonianza di Arnold
Sylvester resa a Kevin Annett, Duncan, BC, 13 agosto 1998).
Anche gli ospedali locali venivano utilizzati come discariche per i
cadaveri dei bambini, come nel caso del ragazzo di Edmonds e del suo
“trattamento” presso il St Paul’s Hospital, seguito al suo omicidio
avvenuto presso la scuola cattolica di North Vancouver. Alcuni
ospedali, comunque, sembrano essere stati luoghi particolarmente
prediletti per l’accumulo dei cadaveri.

Il Nanaimo Tubercolosis Hospital (chiamato The Indian Hospital) era
uno di questi. Secondo alcune donne che hanno subito questo genere di
torture presso tale ospedale (vedere Articolo IId), sotto la guisa di
cure per la tubercolosi generazioni di bambini e adulti indigeni
furono oggetto di esperimenti medici e di sterilizzazione; lo stabile
tuttavia era anche una sorta di magazzino-obitorio per i cadaveri dei
nativi.


Secondo testimoni come Amy Tallio, che frequentò la scuola di Alberni
nei primi anni ’50, il West Coast General Hospital di Port Alberni non
solo accoglieva i corpi dei bambini provenienti dalla locale scuola
residenziale della Chiesa Unitaria; era anche il luogo dove venivano
eseguiti gli aborti sulle ragazze indigene ingravidate dai preti e dal
personale e dove si sbarazzavano dei neonati che, forse, venivano
uccisi.


Irene Starr, della nazione Hesquait, la quale frequentò la scuola di
Alberni fra il 1952 e il 1961, conferma tutto questo.

Alla scuola di Alberni molte ragazze rimanevano incinte. I padri dei
bambini, quelli che le violentavano, erano i membri del personale, gli
insegnanti. Non abbiamo mai saputo cosa accadeva ai neonati, ma essi
scomparivano regolarmente. Le ragazze gravide venivano portate
all’ospedale di Alberni e quindi ritornavano, senza i loro bambini.
Sempre. Il personale uccideva quei bambini per eliminare le loro
tracce; venivano pagati dalla chiesa e dallo stato per fare gli
stupratori e gli assassini. (Testimonianza di Irene Starr resa a Kevin
Annett, Vancouver, BC, 23 agosto 1998)


III
Articolo II (b): Provocare gravi danni fisici o mentali
Agli esordi dell’era delle scuole residenziali, Duncan Campbell Scott,
sovrintendente agli Affari Indiani, delineò così le finalità delle
suddette scuole: “Uccidere l’indiano che è dentro gli indiani”.
Chiaramente l’attacco genocida contro gli indigeni non era soltanto
fisico. Ma anche spirituale. La cultura europea ambiva a possedere le
menti e le anime delle nazioni native, per trasformare gli indigeni
che non era riuscita a sterminare in copie di terza classe dei
bianchi. Alfred Caldwell, direttore della scuola della Chiesa Unitaria
di Ahousat, sulla costa occidentale di Vancouver Island, nel 1938
scriveva: Il problema rappresentato dagli indiani è di natura morale e
religiosa. Essi mancano dei fondamenti di base del pensiero e dello
spirito civile, il che spiega la loro natura ed il loro comportamento
infantile. Presso la nostra scuola ci sforziamo di trasformarli in
cristiani maturi che imparino a comportarsi bene nel mondo ed
abbandonino il loro selvaggio stile di vita ed i loro diritti,
acquisiti col trattato, che li tengono inchiodati alla loro terra e ad
una primitiva esistenza. Soltanto allora il problema indiano nel
nostro paese verrà risolto. (Lettera del Rev. A.E. Caldwell all’agente
indiano P.D. Ashbridge, Ahousat, BC, 12 novembre 1938)
Il fatto che questo stesso preside venga citato dai testimoni in
quanto assassino di almeno due bambini – uno dei quali ucciso lo
stesso mese in cui scrisse la sopraccitata lettera – non è casuale,
poiché il genocidio culturale trabocca senza sforzo nell’assassino,
come i nazisti hanno dimostrato in modo così lampante al mondo.
Nondimeno la lettera di Caldwell chiarisce due punti nodali della
discussione relativa alle atrocità fisiche e mentali inflitte agli
studenti indigeni: (a) le scuole residenziali costituivano un vasto
programma di controllo mentale, e (b) lo scopo sotteso di questa
“riprogrammazione” dei bambini indigeni era quello di scacciare i
nativi via dalle loro terre onde permettere ai bianchi l’accesso ad
esse.
Citando la sopravvissuta di Alberni, Harriett Nahanee: Ci mettevano
sempre gli uni contro gli altri, costringendoci a combatterci e a
molestarci a vicenda. Il tutto aveva lo scopo di dividerci e di farci
il lavaggio del cervello in modo che dimenticassimo che noi eravamo i
Custodi del Territorio. Il Creatore diede al nostro popolo il compito
di proteggere le terre, i pesci, le foreste, questo era lo scopo delle
nostre essenze. I bianchi però volevano tutto per sé stessi, e le
scuole residenziali erano il metodo aloro disposizione; metodo che
funzionò. Abbiamo dimenticato il nostro sacro compito ed ora i bianchi
possiedono la maggior parte delle terre e si sono impossessati di
tutto il pesce e di tutti gli alberi. Noi siamo per la maggior parte
poveri, dediti a vizi, violenti in famiglia; e tutto questo iniziò
nelle scuole, dove ci manipolarono la mente affinché odiassimo la
nostra cultura e noi stessi, cosicché avremmo perso tutto quanto.
Questo è il motivo per cui affermo che il genocidio è tuttora in
corso. (Testimonianza di Harriett Nahanee resa a Kevin Annett, North
Vancouver, BC, 11 dicembre 1995)
Fu solo con l’assunzione dei poteri di tutela da parte dei presidi
della costa occidentale, avvenuta fra il 1933 ed il 1941, che emergono
i primi riscontri di reti pedofile organizzate in quelle scuole
residenziali; perché quel sistema era legalmente e moralmente libero
di fare ai suoi allievi coatti tutto quello che voleva.
Le scuole residenziali divennero un rifugio sicuro – un sopravvissuto
le definisce una “zona franca” – per pedofili, assassini e medici
perversi che avevano bisogno di cavie umane vive per collaudi di
farmaci o ricerche genetiche e sul cancro.
Scuole specifiche, come quella cattolica di Kuper Island e quella
della Chiesa Unitaria di Alberni, divennero centri speciali in cui,
unitamente all’abituale sequela di pestaggi, stupri e noleggio di
bambini a influenti pedofili, venivano praticate impunemente tecniche
di sterminio su bambini indigeni provenienti da tutta la provincia.
Gran parte del male fisico e mentale recato agli studenti indigeni
aveva lo scopo di spezzare lealtà tribale tradizionale per linee di
parentela, mettendo i bambini gli uni contro gli altri e privandoli
dei loro legami naturali; maschi e femmine erano rigidamente segregati
in dormitori separati e non potevano mai incontrarsi.
Una sopravvissuta racconta di non avere mai visto il fratellino per
anni, anche se lui si trovava nel medesimo edificio della scuola
anglicana di Alert Bay. Quando poi i bambini sconfinavano nei
corrispettivi dormitori e le ragazze ed i ragazzi più grandicelli
venivano colti a scambiarsi effusioni, venivano applicate a tutti
quanti punizioni più severe. Secondo le parole di una sopravvissuta
che frequentò la scuola di Alberni nel 1959: Un ragazzo ed una
ragazza, sorpresi a baciarsi, subirono la pena delle verghe. I due
vennero costretti a strisciare nudi lungo una fila di altri studenti,
e noi li colpimmo con bastoni e fruste forniteci dal direttore; la
ragazza fu picchiata così duramente che morì a causa di
un’insufficienza renale. Ci diedero davvero una bella lezione: se
cercavi di provare dei normali sentimenti per qualcuno, venivi ucciso
per questo. Così imparammo ben presto a non voler bene né a fidarci di
nessuno, e a fare soltanto quanto ci veniva ordinato. (Testimonianza
di una donna non identificata della Nazione Pacheedat, Port Renfrew,
BC, 12 ottobre 1996)
Secondo Harriett Nahanee: Le scuole residenziali creavano due tipi di
indiani: schiavi e traditori, e questi ultimi sono ancora in carica.
Il resto di noi fa ciò che gli viene ordinato. I capi dei consigli
delle tribù hanno detto a tutti quelli della nostra riserva di non
parlare in tribunale ed hanno minacciato di tagliare le nostre
indennità nel caso lo facciamo. (Harriet Nahanee a Kevin Annett, 12
giugno 1996).
La natura di quel sistema di tortura non era casuale. Ad esempio,
nelle scuole residenziali canadesi di qualsiasi confessione, l’uso
regolare di scosse elettriche su bambini che parlavano la loro lingua
o che erano “disobbedienti” era un fenomeno diffuso, e ciò non veniva
a casaccio ma era una prassi istituzionalizzata.
Secondo testimoni oculari, nelle scuole di Alberni e Kuper Island
della British Columbia, nella scuola cattolica spagnola dell’Ontario
ed in strutture ospedaliere isolate, gestite dalle chiese e dal
Dipartimento Affari Indiani nel Quebec settentrionale, a Vancouver
Island e nell’Alberta rurale, esistevano stanze di tortura, allestite
appositamente con sedie elettriche fisse e spesso fatte funzionare da
personale medico.
Mary Anne Nakogee-Davis di Thunder Bay, Ontario, nel 1963 all’età di
otto anni, fu torturata su una sedia elettrica dalle suore della
scuola residenziale cattolica spagnola. Ella racconta: Le suore la
usavano come un ‘arma, e vi fui sottoposta in più di un’occasione. Ti
legavano le braccia ai braccioli metallici e le scosse ti facevano
sobbalzare tutto il corpo. Non so che male avessi fatto per meritare
una tale punizione. (Tratto da The London Free Press, London, Ontario,
22 ottobre 1996)
Torture di questo genere, analoghe ai programmi di sterilizzazione
individuati presso il W.R. Large Memorial Hospital di Bella Bella ed
il Nanaimo Indian Hospital, venivano eseguite anche presso istituti
gestiti dalle chiese con i fondi del Ministero Affari Indiani.
Frank Martin, postino indigeno della British Columbia settentrionale,
descrive la sua reclusione coatta e l’impiego della sua persona per
esperimenti, avvenuta nel 1963 e nel 1964 presso la Bbrannen Lake
Reform School, vicino a Nanaimo: All’età di nove anni fui rapito dal
mio villaggio e mandato alla scuola Brannen Lake di Nanaimo. Un medico
locale mi fece un’iniezione e dio mi risveglia in una piccola cella,
forse di tre metri per quattro; mi tennero rinchiuso li come un
animale per 14 mesi. Mi tiravano fuori ogni mattina e mi
somministravano scosse elettriche alla testa sino a quando non svenivo
e poi, nel pomeriggio, mi sottoponevano a raggi x per diversi minuti
di seguito. Non mi dissero mai perché lo facessero, ma all’età di
diciotto anni mi ammalai di cancro ai polmoni pur senza aver mai
fumato. (Testimonianza videoregistrata di Frank Martin resa a Eva
Lyman e Kevin Annett, Vancouver, 16 luglio 1998)
Questi esperimenti empirici combinati ad un sadismo brutale
caratterizzarono questi istituti finanziati pubblicamente, in
particolare il famigerato Nanaimo Indian Hospital. David Martin di
Powell River,BC, nel 1958, all’età di cinque anni, fu condotto in
questo ospedale e sottoposto ad esperimenti comprovati da Joan Morris,
Harry Wilson ed altri testimoni citati nel presente rapporto. Secondo
David: Mi fu detto che avevo la tubercolosi, ma io ero del tutto sano;
non presentavo alcun sintomo di quella malattia. Quindi mi mandarono
al Nanaimo Indian Hospital e li mi tennero legato in un letto per più
di sei mesi. Ogni giorno i medici mi praticavano delle iniezioni che
mi facevano stare davvero male e provocavano sulla mia pelle
arrossamenti e prurito. Sentivo le urla di altri bambini indiani
rinchiusi in celle di isolamento; non ci fu mai consentito di vederli
e nessuno mi disse mai che cosa stessero facendo a tutti noi in quel
luogo. (David Martin a Kevin Annett, Vancouver, 12 novembre 2000).
Presso le stesse scuole residenziali una tortura ordinaria e
ricorrente erano gli interventi sui denti dei bambini senza l’utilizzo
di qualsiasi forma di anestesia o di analgesici. Due diverse vittime
di queste torture presso la scuola di Alberni descrivono di esservi
state sottoposte da differenti dentisti a distanza di decenni.
Harriett Nahanee fu brutalizzata in quel modo nel 1946, mentre Dennis
Tallio fu “sottoposto all’opera di un vecchio infermo che non mi
somministrò mai degli analgesici” in quella stessa scuola nel 1965.
I sopravvissuti algi esperimenti del Dr, Josef Mengele ritengono che
costui li abbia elaborati alla Cornell University di New York, i
Bristol Labs di Syracuse, New York, e Upjohn Corporation e laboratori
Bayer dell’Ontario. Mengele ed i suoi ricercatori canadesi, come il
famigerato psichiatra di Montreal Ewen Cameron, utilizzavano
prigionieri, malati mentali e bambini indigeni provenienti dalle
riserve e dalle scuole residenziali nella loro attività volte a
cancellare e rimodellare la memoria, e la personalità umana, usando
farmaci, scosse elettriche e metodi per indurre traumi identici a
quelli impiegati per anni nelle scuole residenziali.
Ex dipendenti del governo federale hanno confermato che l’uso dei
“reclusi” delle scuole residenziali per esperimenti medici governativi
era autorizzato tramite un accordo congiunto con le chiese che
gestivano le scuole stesse.
Secondo un ex funzionari degli Affari Indiani: Una sorta di accordo
sulla parola fu in vigore per molti anni: le chiese ci fornivano i
bambini dalle scuole residenziali e noi incaricavamo l’RCMP di
consegnarli a chiunque avesse bisogno di un’infornata di soggetti da
esperimento: in genere medici, a volte elementi del Dipartimento della
Difesa. I cattolici lo fecero ad alto livello nel Quebec, quando
trasferirono in larga scala ragazzi dagli orfanotrofi ai manicomi. Lo
scopo era il medesimo: sperimentazione. A quei tempi i settori
militari e dell’intelligence davano molte sovvenzioni: tutto quello
che si doveva fare era fornire i soggetti. I funzionari ecclesiastici
erano più che contenti di soddisfare quelle richieste. Non erano solo
i presidi delle scuole residenziali a prendere tangenti da questo
traffico: tutti ne approfittavano, e questo è il motivo per cui la
cosa è andata avanti così a lungo; essa coinvolge proprio una sacco di
papaveri alti. ( Dai fascicoli riservati del tribunale dell’IHRAAM,
contenenti le dichiarazioni di fonti confidenziali, 12-14 giugno 1998)
Gli esperimenti in questione e la cruda brutalità delle sevizie
inflitte ai bambini nelle scuole attesta la considerazione che le
istituzioni avevano degli indigeni in quanto esseri “sacrificabili” e
“malati”. Decine e decine di sopravvissuti provenienti da dieci
diverse scuole residenziali della British Columbia e dell’Ontario
hanno descritto sotto giuramento le seguenti torture, inflitte fra il
1922 ed il 1984, a loro stessi e ad altri bambini, alcuni di solo
cinque anni di età.:
· Stringere fili e lenze da pesca attorno al pene del bambini;
· Inserire aghi nelle loro mani, guance, lingue, orecchie e pene;
· Tenerli sospesi sopra tombe aperte minacciando di seppellirli vivi;
· Costringerli a mangiare cibo pieni di vermi o rigurgitato;
· Dire loro che i erano morti e che stavano per essere uccisi;
· Denudarli di fronte alla scolaresca riunita e umiliarli verbalmente
e sessualmente;
· Costringerli a stare eretti per oltre 12 ore di seguito sino a
quando non crollavano;
· Immergerli nell’acqua ghiacciata;
· Costringerli a dormire all’aperto durante l’inverno;
· Strappare loro i capelli dalla testa;
· Sbattere ripetutamente le loro teste contro superfici muratura o in
legno;
· Colpirli quotidianamente senza preavviso tramite fruste,
bastoni,finimenti da cavallo, cinghie metalliche decorate, stecche da
biliardo e tubi di ferro;
· Estrarre loro i denti d’oro senza analgesici;
· Rinchiuderli per giorni in stanzini non ventilati senza acqua né
cibo;
· Somministrare loro regolarmente scosse elettriche alla testa, ai
genitali e agli arti.

Forse il riassunto più chiaro della natura e degli scopi di tale
sadismo è costituito dalle parole di Bill Steward di Nanaimo,
sopravvissuto alla scuola Kuper Island: Era la gente della chiesa ad
adorare il diavolo, non noi. Volevano l’oro, il carbone, la terra che
abitavamo, così ci terrorizzavano affinché consegnassimo tutto a loro.
Come fa un uomo che all’età di sette anni veniva violentato
quotidianamente a combinare qualcosa nella vita? Le scuole
residenziali furono istituite per distruggere le nostre vite, e
riuscirono nell’intento. I bianchi erano dei terroristi, puri e
semplici. (Testimonianza di Bill Steward resa a Kevin Annett e ad
osservatori della IHRAAM, Duncan, BC, 13 agosto 1998)






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