venerdì 9 settembre 2011

Genocidio in Ruanda-1°articolo-


Senonché, il 10 ottobre 1996, l'emittente radio S2 - tutt'altro che critica nei riguardi del cristianesimo - reca nel notiziario S2 Aktuell delle ore 12 la seguente notizia:

"Sacerdoti e suore anglicani, ma soprattutto cattolici, sono gravemente accusati di aver preso parte attiva all'assassinio di indigeni. In particolare, il comportamento d'un religioso cattolico ha tenuto desto per mesi l'interesse della pubblica opinione , non solo nella capitale ruandese Kigali. Era parroco nella chiesa della Sacra Famiglia, ed è accusato di aver ucciso dei tutsi nei modi più atroci.



Jean Baptiste Kayigamba è un giornalista sopravvissuto al genocidio ruandese del 1994 e che fu costretto a fuggire dal suo paese natale. In un suo lungo articolo pubblicato su AllAfrica ha criticato pubblicamente il silenzio del massimo rappresentate Vaticano in riguardo alle vittime del genocidio dei tutsi in Ruanda. Un argomentino neanche tanto di secondo piano, sul quale sarebbe interessante sentire l’opinione di quello che viene proposto nientemeno come “il vicario di Cristo in Terra”.

Una tragedia – scrive Kayigamba – che ebbe luogo oltre 16 anni fa, in pieno giorno. Se [Benedetto XVI] è in grado di chiedere scusa alle vittime degli abusi in Irlanda, perché non può fare le stesse scuse ai ruandesi che, oltre 16 anni fa, patirono enormi sofferenze durante uno dei peggiori genocidi del secolo scorso, un genocidio in cui un gran numero di sacerdoti prese parte.

Durante questi momenti orribili le chiese erano luoghi dove uomini innocenti, donne e bambini avevano cercato rifugio, sperando di protezione. Questi luoghi sacri divenne rapidamente dei macelli. Nomi come Ntarama, Ngenda, Kibeho, Kaduha, Nyange o Nyarubuye sono diventati il simbolo di crimini odiosi commessi da cristiani contro altri cristiani, a volte con la complicità del clero locale.



Sedici anni dopo queste atrocità sono state perpetrate, alcuni di questi luoghi santi sono ancora pieni di fetore dei cadaveri di coloro che vi furono massacrati. La domanda che tanta gente continua a fare è come mai un paese a maggioranza cattolica abbia potuto scendere in un tale oscuro abisso. La cosa scioccante è la partecipazione alla uccisioni di massa di un gran numero di preti e suore in questi crimini.

Uno dei casi più citati è quello di Padre Athanase Seromba. Secondo l'African Rights, una organizzazione con base a Londra per i diritti umani, al culmine delle uccisioni di massa, questo “servo di Dio usò la sua autorità di sacerdote per disarmare i tutsi(massacrati) locali e attirarli in chiesa”. African Rights indica inoltre che “un numero elevato di persone circondò la parrocchia e usò pistole, granate e macheti per uccidere i rifugiati. Seromba diede ordine agli assassini di sparare a coloro che avessero cercato di scappare.”

È stato anche riferito che, poiché i predoni Hutu non potevano entrare in chiesa, Seromba ordinò la demolizione della chiesa, mentre i Tutsi erano ancora all'interno. Il coinvolgimento Seromba è stato confermato da 11 testimoni durante il processo a suo carico svoltosi nel Tribunale internazionale per il Ruanda (TPIR), che lo ha condannato al carcere a vita.



Scrivendo sul Guardian, Rory Carroll dice che padre Seromba è uno delle decine di religiosi e suore accusati di atrocità che sono fuggiti in Europa dopo che le forze Tutsi in Ruanda hanno preso il potere dopo il massacro.

Con l'aiuto del Vaticano, si trasferisce in Italia, ufficialmente per studiare, e sotto falso nome, Padre Anastasio Sumba Bura, serve come parroco in un villaggio nei pressi di Firenze.’

[nota: del caso di Seromba(1) si è occupata anche la stampa italiana, primo fra tutti il Corriere della Sera nel già nel 1998. Il prete all’inizio negò ogni accusa, affermando che era già partito quando il genocidio avvenne ma su di lui vi erano numerose testimonianze. Successivamente è stato arrestato e nel 2008 è stato definitivamente condannato all’ergastolo



                                                                                                          (1)


Il caso di Seromba è tipico del modo in cui la Chiesa cattolica romana ha sempre cercato di aiutare ad allontanasri suoi membri sospettati di aver avuto un ruolo nel genocidio e abbia fornito loro rifugio nelle parrocchie di vari paesi europei.

Una volta scoperto dall’Interpol pare che il Vaticano abbia fatto tutto il possibile per contrastare la sua estradizione ha detto tribunale di Arusha, in Tanzania, facendo pressioni presso il governo italiano affinche’ non fosse estradato.



Nella sua biografia, intitolata “Madame Prosecutor: Confrontations with Humanity's Worst Criminals and the Culture of Impunity” Carla Del Ponte (ex Procuratore Capo del Tribunale Penale Internazionale) mette luce sulle manovre svolte dalla Chiesa cattolica per aiutare Padre Seromba a sottrarsi alla giustizia.

Dopo vari tentativi di far sì che le autorità italiane arrestassero Seromba Del Ponte era molto frustrata e disse: “È uno scandalo. Belgrado ci ha consegnato Milosevic, ma Roma non concede con questo arresto.” Stando a quanto ipotizzato da vari media la vera ragione per cui il governo italiano non abbia dato esecuzione al mandato di arresto contro Padre Seromba è stata la pressione dal Vaticano, che stava cercando in vari modi di far sottovalutare il ruolo che vari membri del clero cattolico avevano avuto nel genocidio avvenuto in Ruanda'.



Il Vaticano aveva già messo in dubbio l'obiettività di un tribunale belga che aveva già condannato due suore ruandes(
Suor Gertrude Consolata Mukangango(2)Suor Maria Kisit Julienne Mukabutera(1)) colpevoli per i crimini connessi al genocidio. Non c'è da meravigliarsi che ogni volta che un religioso cattolico è menzionato nei casi di atrocità commesse in Ruanda, il Vaticano minimizzi l'accaduto e sembra suggerire che gli interessati sono perseguitati per quello che sono: membri del clero.


                                                                                                           (1)  
 


                                                                                                         (2)

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