venerdì 9 settembre 2011

Genocidio in Ruanda-5°articolo-


Suor Gertrude (Consolata Mukangango,quella nella foto di apertura) e Suor Maria Kisit (Julienne Mukabutera(a), monache dell’ordine Benedettino, esercitavano nel convento di Sovu nel Butare.


                                                                                                          (a)




Il 17 Aprile del 1994 in molti vi cercarono rifugio e furono divisi in quattro gruppi: pellegrini, famiglie di alcune suore di etnia Tutsi, personale del convento con relative famiglie e, infine, i fuggitivi che tentavano di sottrarsi al massacro.


L’ultimo gruppo, per ordine di Suor Gertrude – che allora era la Madre Superiora -, venne dirottato verso il vicino Centro di Assistenza Sanitaria “per non disturbare le attività del convento e prevenire la distruzione dell’edificio” e rifiutò persino di fornir loro del cibo anche se le provviste erano più che sufficienti.

Le due suore amiche del leader della milizia, Emmanuel Rekerhao, furono da lui stesso avvisate che il Centro di Assistenza Sanitaria sarebbe stato attaccato a breve. Difatti, il 22 Aprile iniziò l’ecatombe.



Durante i massacri, tra i 500 e i 700 fuggitivi cercarono riparo nel garage del centro. Fu deciso, allora, di bruciarli vivi. Le due benedettine portarono a termine personalmente questa “missione” con due taniche di benzina: Suor Kisito le vuotò nel garage e appiccò il fuoco. In quel solo giorno persero la vita circa 7000 persone.

Tre giorni dopo Rekerhao tornò con i suoi uomini e le due Sorelle di Sovu, evidentemente non ancora soddisfatte del loro operato, gli chiesero di eliminare quei fuggitivi ancora in vita in quanto “non c’era cibo a sufficienza per tutti”. Suor Gertrude li spinse a lasciare il convento causando la morte di altre 600 persone in un massacro da cui solo le famiglie delle suore Tutsi furono risparmiate.



 
Nonostante tutto questo orrore, il 6 Maggio la stessa suora consegnò nella mani della milizia i restanti fuggitivi e il sindaco del villaggio. Anche questi ultimi sopravvissuti furono brutalmente trucidati.
Nel 2001 furono entrambe condannate per genocidio a 15 anni di prigione.



Tra gli altri vale la pena ricordare:

1998 – Jean François Kayiranga e Edouard Nkurikiye, sacerdoti Cattolici, condannati a morte per aver spinto 2000 tutsi a cercar rifugio nella loro chiesa prima di essere attaccata dagli Hutu. Subito dopo, hanno fatto in modo che l’edificio fosse raso al suolo con i corpi all’interno.

1999 – Il Vescovo Cattolico Augustin Misago viene arrestato e accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. Nel 2000 verrà rilasciato dietro pressioni vaticane.

2005 – Guy Theunis, sacerdote Cattolico di origine Belga, viene arrestato per aver incitato alle atrocità pubblicando alcuni articoli nel suo giornale. Dietro continue pressioni, è stato rimpatriato in Belgio dove il processo continuerà il suo corso. Intanto riceve un premio per la pace da un settimanale edito da una chiesa Belga.



2005 – Thaddée Ntihinyurwa, Arcivescovo Cattolico, è stato accusato di esser membro di uno “squadrone della morte” e di aver ordinato a circa 600 persone di uscire da una chiesa dirigendoli all’interno di uno stadio in cui furono poi uccisi dagli Hutu. Nel Dicembre 2007 è stato visto predicare nella cattedrale di San Michele a Kigali.

2006 – Wenceslas Munyeshyaka, sacerdote Cattolico fuggito in Francia, è stato condannato all’ergastolo per aver commesso abusi sessuali ed aver assistito la milizia Hutu nel genocidio. La polizia francese, dopo averlo arrestato, è stata costretta al rilascio perché il mandato di cattura internazionale “non può essere eseguito”, secondo quanto affermato da una corte d’appello francese.

2007 – Hormisdas Nsengiman, rettore del collegio Cristo Re, viene accusato di genocidio, cospirazione per commettere genocidio, crimini contro l’umanità, sterminio e collaborazione per aver ordinato agli studenti di cooperare con le milizie Hutu. Il processo è ancora in corso.

Tra gli altri condannati figurano Padre Laurent Ntimugura, Padre Emmanuel Rukundo, Suor Theophister (Theophister Mukakibibi) e il pastore Elizaphan Ntakirutimana (avventista).



IN CONCLUSIONE

La storia del Ruanda (e del resto del mondo colpevolmente assente) fu segnata inesorabilmente da questo genocidio del 1994: si calcola che circa 1 MILIONE di persone vennero massacrate da estremisti Hutu e dalle milizie Interhamwe fedeli al presidente Juvenal Habyarimana.
Su una popolazione di 7.300.000, di cui l'84 % Hutu, il 15 % Tutsi e l'1 % Twa, le cifre ufficiali diffuse dal governo ruandese parlano di 1.174.000 persone uccise in soli 100 giorni (10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto).

Altre fonti parlano di 800.000 vittime. Tra loro il 20% circa e' di etnia Hutu.

I sopravvissuti Tutsi al genocidio sono stimati in 300.000.

Migliaia le vedove, molte stuprate e oggi sieropositive.

400.000 i bambini rimasti orfani, 85.000 dei quali sono diventati capifamiglia.

Uno studio delle Nazioni Unite ha confermato la gravita' del problema: il 31% dei bambini cresciuti durante il genocidio hanno assistito ad uno stupro, il 70% e' stato testimone di uccisioni e migliaia hanno perso i genitori nel dopoguerra a causa dell'AIDS.

Secondo una stima ufficiale, il 70% delle donne stuprate durante il genocidio del Ruanda ha contratto l'HIV e la maggior parte di loro alla fine non sopravviverà.

                                                                                                            

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