venerdì 9 settembre 2011

La pedofilia è meno grave dell’aborto. Donne, svegliamoci



[13 mar 2010]

È nota come sindrome di Stoccolma e si tratta di un condizionamento psicologico per cui la vittima di un sopruso o di una violenza si identifica con le ragioni del proprio aguzzino, giustificandole e arrivando a provare dei sentimenti di affetto per lo stesso. Non c’è altra spiegazione per il fenomeno sociologico che vede spesso le donne in prima fila tra i banchi delle parrocchie. Esse hanno dimenticato di essere state arse vive, chiamate ianua diaboli (ossia «porta del demonio» dal mai ripudiato Tertulliano, padre della chiesa del III secolo), fatte oggetto di speculazioni teologiche ai massimi livelli per appurare se anch’esse avessero l’anima – col risultato che, fino a tempi recentissimi, si è sostenuto che nel feto femminile l’anima si insediasse diverse settimane dopo rispetto al feto maschile! – e considerate da sempre l’origine di tutte le sciagure dell’umanità sin dalla progenitrice Eva.

Certamente, queste sono cose ormai passate e le donne contemporanee possono ben averle dimenticate o deciso di ignorarle. In fondo, la Chiesa cattolica oggi sostiene la centralità della donna, almeno nella famiglia. E ribadisce la dignità della stessa, almeno in senso lato. Già, perché nello specifico non si sa bene questa dignità in cosa consista e come si manifesti. A tutte le signore cattoliche inginocchiate ai primi banchi nelle chiese sfugge, forse, di non aver mai visto un sacerdote donna celebrare la funzione. Non esiste carriera ecclesiastica per le donne: esse sono le «ancelle» di Cristo, e per nessun motivo possono essere le sue rappresentanti. Non solo, ma questa istituzione, che molte si ostinano ciecamente a venerare, è la stessa istituzione che è stata pronta a scomunicare una bimba di nove anni, stuprata, che è stata fatta abortire. È la stessa istituzione, inoltre, che è riuscita a far emanare al Parlamento italiano una legge, la legge 40 sulla fecondazione assistita, che non ha alcun riguardo per la salute fisica e psicologica della donna, ed è sempre la stessa istituzione che adduce cause pretestuose per opporsi all’uso del farmaco abortivo RU486 e dell’anticoncezionale di emergenza noto come «pillola del giorno dopo».

Oggi, questa medesima istituzione, nel pieno della fetida ondata di casi di pedofilia che ha travolto il suo clero in mezza Europa – i cui echi, da noi, arrivano solo attutiti e addolciti attraverso le spesse mura vaticane – ha finalmente acclarato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’aborto è un peccato più grave del reato di pedofilia compiuto da un sacerdote. La rivelazione è stata placidamente fatta da monsignor Girotti, reggente della Penitenzieria Vaticana, in un’intervista rilasciata al Messaggero. Riguardo al reato di pedofilia il prelato ha espressamente detto: «Un penitente che si è macchiato di un delitto simile, se è pentito sinceramente, lo si assolve. È chiaro che dinnanzi a casi di persone consacrate soggette a disordini morali costanti e gravi – e sottolineo, costanti e gravi – il confessore, dopo aver senza successo messo in atto tutti i tentativi per ottenere l’assoluzione, consiglierà di abbandonare la vita ecclesiastica». Non pago di aver esplicitato una volta per tutte come sia facile nascondere i «disordini morali» all’interno della Chiesa cattolica (due Ave Maria e un Gloria al Padre per ogni fanciullo molestato?), alla domanda della cronista se il confessore possa denunciare il sacerdote reo confesso, Girotti candidamente replica: «Assolutamente no. Il confessore non solo non può imporgli l’autodenuncia, ma non può nemmeno recarsi da un magistrato per denunciarlo. Romperebbe il sigillo sacramentale. Una cosa gravissima. Se lo facesse il confessore incorrerebbe nella scomunica ipso facto, immediata». Al contrario, per assolvere una donna che ha abortito, il confessore necessita di una dispensa del vescovo, in quanto non può assolverla autonomamente. Come mai? «L’aborto – spiega il monsignore – viene considerato un peccato riservato, diciamo speciale. Nel caso specifico è chiaro che la Chiesa vuole tutelare al massimo la vita della persona più debole, più fragile, e cosa c’è di più inerme di una vita che è in divenire e non è ancora nata?»

Le parole del reggente della Penitenzieria Vaticana sono così sconvolgenti che non si sa da dove cominciare per commentarle. Innanzitutto, qualcuno dovrebbe far notare al monsignore che anche la vita di un bambino o di un minore che subisce un abuso – oltretutto da parte di una persona di cui la società e i genitori hanno detto di fidarsi – è una vita in divenire, e questo divenire viene pesantemente messo in discussione da tale abuso. In secondo luogo, si deve sottolineare per l’ennesima volta che al sacerdote stupratore o molestatore recidivo viene solo consigliato di abbandonare la vita ecclesiastica. Se non lo fa, però, sono affaracci dei bambini molestati e dei loro genitori, che si troveranno con dei figli che dovranno combattere, probabilmente per sempre, contro un trauma che ha intaccato nel profondo la loro vita affettiva e sessuale.

Infine, è necessario che le autorità dello Stato registrino questo dato di fatto noto da tempo e qui affermato nero su bianco: le gerarchie cattoliche non hanno alcuna intenzione di collaborare con la giustizia e mettono i loro dogmi e le loro superstizioni al di sopra delle leggi dello Stato in cui vivono e che li sostenta generosamente. Se denunciano un compagno di convitto stupratore vengono scomunicati, e questa per loro è la più grave sanzione immaginabile. Pensateci, signore cattoliche, quando mandate i vostri figli al catechismo. Magari il parroco si è divertito a fare degli strani giochini con lui, ma si è confessato, e domani lo aspetta di nuovo a braccia aperte. L’altro sacerdote, invece, quello buono, sa tutto ma non dice nulla, né a voi né ai magistrati, perché altrimenti romperebbe il sacro sigillo della confessione. Domani vostro figlio tornerà in lacrime dall’oratorio e il prete dirà che è un bambino difficile.

Signore cattoliche, forse non vi importa di essere spedite all’inferno se abortite il frutto del seme del vostro stupratore, perché tanto a voi non capiterà mai. Ma siete sicure di non provare nemmeno un po’ di fastidio all’idea che lo stupratore di vostro figlio non solo non sarà denunciato da chi avrebbe la possibilità di farlo, ma sarà assolto, se si pente in confessionale, e se ne andrà beato in paradiso?

Se, vittime di questa particolare specie di sindrome di Stoccolma, essere state ed essere tuttora palesemente discriminate dalla dottrina cattolica non è mai stato per le donne un buon motivo per disaffezionarsi dalla Chiesa, ora che il pericolo investe i loro figli, forse un campanello d’allarme suonerà. È noto infatti che l’istinto materno è in grado di rendere la più mite e succube donnetta una belva inferocita. Svegliamoci, signore!

Alessandra Maiorino

Fonte
http://www.cronachelaiche.it/2010/03/la-pedofilia-e-meno-grave-dellaborto-donne-svegliamoci/

1 commento:

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